La Topenschierta è un'incursione a casa di Tazio. Dove tutti gli oggetti sono rinominati per ribadire l'imperfezione umana.
La casa, la Topenschierta.
La casa è il luogo che ci somiglia, un'estensione di quello che siamo quando ci chiudiamo la porta alle spalle. Non è un luogo perfetto, è anzi spesso il luogo del conflitto. Di ciò che vorremmo essere e non siamo, a volte di ciò che vorremmo fare ma non possiamo. Perché esiste il logorio del tempo e della materia, e appena oltre la soglia esiste la vita di tutti i giorni.
è allora con un po' di timidezza che entriamo in casa di Tazio, sapendo che stiamo entrando in un luogo saturo di candore. Perché una casa non può fare altro che dire la verità.
Qui salta subito agli occhi, appunto, il conflitto. Conflitto che deriva da una (sacra) impazienza di ribattezzare gli oggetti. È un'irrequietezza, questa, vecchia come il mondo, fondativa. Nonostante qui a dare il nome sia il pennarello o l'adesivo, appiccicato su cellulari, scaldabagni, elettrodomestici, è la stessa irrequietezza che, forse, ebbe Adamo nell'Eden. è il battesimo del bambino, è il nome omen degli antichi.
E poi com'è stato scritto (credo fosse Henry Miller, qui evocato non a caso se ripensiamo ai poster e alle pornostar che campeggiano in varie parti della casa) l'uomo è un ibrido fra l'angelo e il demone. Da questa continua frizione, la ricerca del dominio e della stabilità da un lato, l'entropia che si mangia il mondo dall'altro, nasce ogni forma di comunicazione.
Dunque in questi battesimi c'è il senso dell'inadeguatezza e, insieme, tutta la grandezza dell'essere umano. Dunque c'è la polvere e il suo segreto. Soprattutto c'è l'oscurità, e il suo continuo sperare nella gloria della luce. Alla fine tutto riconduce alla luce. Che, nonostante le persiane chiuse, nonostante le tende, s'insinua anche qui. La luce che alla fine, recalcitrante e indisciplinata, s'è lasciata catturare da occhi entusiasmati e mani pazienti.
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