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Orti urbani

Giuseppe Fanizza

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A Milano l'intervento dell'amministrazione comunale nello studio e regolarizzazione degli orti urbani è relativamente recente. I primi studi di settore risalgono agli anni novanta e vennero condotti per cercare di capire e istituzionalizzare un sistema fino ad allora disordinato e anarchico.  Basti considerare che da uno studio del 2005 risulta che la superficie di orti urbani nel comune di Milano era di 1.800.000 mq, quasi tutti abusivi, e che dai dati comunali del 2010 risulta che la superficie totale di orti "legali" supera di poco i 100.000 mq. La nascita degli orti urbani in Italia è dunque da considerare come un fenomeno spontaneo, e a Milano un fenomeno sicuramente legato all'enorme migrazione che, tra il 1955 e il 1971, vide circa 9 milioni di italiani spostarsi dalle regioni agricole del sud a quelle industriali del nord. Possiamo ipotizzare che questi uomini, pur avendo scelto il lavoro in fabbrica, non abbiano potuto abbandonare del tutto le radicate abitudini contadine e abbiano convertito gli spazi urbani intorno ai palazzi operai in piccoli orti. Tuttora molti "ortisti" sono pensionati di origine meridionale, giunti a Milano da giovani in cerca di lavoro, e che ora si considerano milanesi a tutti gli effetti.

Originariamente gli orti urbani costituivano una reale alternativa al sistema produttivo industrializzato, e la costituiscono tuttora nelle economie in via di sviluppo. In Europa sono presenti dalla fine della seconda guerra mondiale ed erano uno strumento della cittadinanza per riuscire a sopravvivere con un sistema di produzione devastato dalla guerra. In una pubblicazione del 2009 intitolata Food for the Cities, la FAO individua la agricoltura urbana e peri-urbana come una reale potenzialità per le metropoli dei paesi con livelli di povertà molto elevati, rilevando che nel 2008, per la prima volta nella storia, la popolazione urbana ha superato come numero quella rurale.
L'accezione che hanno gli orti urbani "regolari" nel sistema occidentale industrializzato è completamente diversa. E diversi sono i bisogni che spingono un cittadino di Milano, Parigi o Francoforte ad affittare 50mq di terreno in cui passare il suo tempo. Forse si cerca di ristabilire un contatto con valori primordiali, con la terra. O ci si vuole appropriare del suolo cittadino come reazione alla sensazione di dis-appartenenza che si prova nelle grandi città. Mi pare che entrino anche in campo istanze di reazione al sistema metropolitano in cui, per come è organizzata produzione, si ha tal volta difficoltà a capire il proprio ruolo nel sistema e il proprio apporto alla comunità-città. Come se si volesse dimostrare di essere ancora in grado di sopravvivere, letteralmente di produrre cibo per mangiare e nutrire i propri cari. Anche se non se ne ha realmente bisogno. Inoltre, a conferma del carattere assolutamente urbano di questo fenomeno, proprio nei paesi dell'Europa mediterranea, dove le tradizioni agricole sono più forti, il fenomeno ha avuto più difficoltà ad attecchire. Ed è ovviamente assente nelle zone realmente rurali di tutti gli stati europei.

Questo è il paradosso più interessante: i "gardeners" degli orti urbani delle città europee vogliono soddisfare bisogni tipicamente cittadini, uguali a quelli de chi va in palestra o in teatro. I rappresentanti dei vari enti e organizzazioni nazionali che si occupano della diffusione della cultura degli orti urbani, riunitisi in Polonia in occasione del XXXV (sic!) International Congress of Allotment and Family Gardens, hanno pubblicato una risoluzione comune in cui affermavano la necessità di politiche da parte dei governi volte a incentivare l'agricoltura urbana. Nella risoluzione si afferma che "gli orti urbani assurgono a una missione sociale: sono un luogo di incontro e relazione fra giovani e adulti, famiglie, persone di diverse generazioni, disoccupati, e persone professionalmente attive di provenienze sociali e nazionali diverse. [...] Sono un elemento essenziale per la salute fisica e mentale [...] Frutta e verdura genuina, coltivata nel loro giardino, arricchisce i loro menù. Il contatto con la [...] natura e la creatività nel giardinaggio stimolano i sensi. Le relazioni e le amicizie aiutano ad prevenire la solitudine." Nessun riferimento al fatto che questa gente stia producendo cibo è presente nel testo. Ovvero, la concezione dell'agricoltura come mezzo di sostentamento viene eliminata. Essa ha a limite una funzione sociale.

In Francia, Germania, Inghilterra, e nell'Europa del Nord, dove gli orti urbani "regolari" hanno una storia più lunga che in Italia, il processo è molto più istituzionalizzato che da noi. Il programma Capital Growth, patrocinato dall'amministrazione comunale di Londra, promette negli slogan di creare 2012 nuovi orti entro il 2012.

Networks, associazioni di consumatori, enti della pubblica amministrazione organizzano i lotti disponibili e offrono servizi ai conduttori di orti urbani. A Londra il London Allotment Network, a Parigi la Fédération Nationale des Jardins Familiaux et Collectifs, a Berlino il Kleingarten bund. Esiste un Resource Centre on Urban Agriculture & Food Security e un Office International du Coin de Terre et des Jardins Familiaux con sede a Lussemburgo coordina i vari enti nazionali.


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